Nel mio lavoro di educatrice sono spesso a stretto contatto con bambini e ragazzi diversamente abili, ma anche normodotati.
E' un tipo di lavoro questo per nulla facile, ma che se lo si svolge con pazienza ed entusiasmo può dare moltissime soddisfazioni.
Inoltre, quando la mia cooperativa non mi contatta per delle sostituzioni provvisorie nelle scuole, nei nidi o nelle materne, do una mano ad alcuni ragazzi nei compiti a casa per arrotondare la paga.
Il sabato pomeriggio poi faccio la catechista presso l'oratorio del mio paese.
Avendo a che fare con molti ragazzi, anche parecchio diversi fra loro ed osservando in maniera prolungata il loro comportamento, ho potuto notare come alcuni fatichino ad elaborare e ad interiorizzare i cosiddetti "no" che le figure adulte aventi ruolo educativo, a volte reputino necessario dire per il loro bene.
In questo articolo inserirò alcune riflessioni proprio sulla tematica appena sopra accennata.
In che senso dunque "bambino re"? Come mai ho scelto proprio questo titolo per l'articolo in questione?
Utilizzando l'espressione "bambino re", il mio intento non è quello di etichettare o di categorizzare, ma di esplicare, riflettere e ragionare su una problematica, secondo me sempre più in diffusione al giorno d'oggi.
Ecco dunque che inizierei subito la discussione con alcune domande provocatorie: come mai ai nostri tempi i ragazzi sono restii ad interiorizzare una figura educativa adulta autorevole?
Quali sono le cause di tutto ciò?
I genitori hanno piena responsabilità in questa faccenda o è la scuola intesa come istituzione ad avere un ruolo predominante?
Su questa tematica ci sarebbero da scrivere almeno dieci pagine, ma mi limito ad essere molto più stringata per dare modo anche a chi leggerà questo articolo di farsi delle idee proprie, magari anche giustamente commentando e criticando le mie riflessioni.